La cappella Tornabuoni è la cappella maggiore nella Basilica di Santa Maria Novella ed è dedicata alla Madonna Assunta, titolare della chiesa.

Di essa fu patrona la famiglia Ricci che permise a quella dei Tornaquinci di farla affrescare interamente e a sue spese dall'Orcagna, verso la metà del XIV secolo.

Tuttavia, a causa delle difficoltà finanziarie dei Ricci, gli affreschi dell'Orcagna erano già seriamente compromessi nella seconda metà del Quattrocento, dal momento che la famiglia non aveva potuto provvedere al loro restauro e manutenzione, e nel 1357 le pareti della cappella furono gravamente danneggiate da un incendio probabilmente causato da un fulmine.

Il grande ciclo degli affreschi oggi tuttora visibili furono invece opera di Domenico Bigordi di Tommaso Ghirlandaio, che fu chiamato da Giovanni Tornabuoni ad affrescare la cappella, dopo che questi nel 1485 aveva comprato il patronato della cappella dalla famiglia Ricci, a patto di mantenervi gli stemmi di quest’ultima.

Il Ghirlandaio dipinse sulle pareti della Cappella le storie dedicate alla vita della Vergine, e tratte dai vangeli apocrifi (a sinistra), e a quella di san Giovanni Battista patrono di Firenze (a destra), mentre le vele della volta furono riservate ai Quattro Evangelisti.

Domenico affrontò la vastissima impresa avvalendosi di un gruppo bene organizzato di giovani collaboratori. Tra di essi vi furono: il fratello più giovane David e il fratello ultimo Benedetto, oltre a Sebastiano Mainardi, di cui Domenico divenne cognato, il Granacci, Il Bugiardini nonché, per breve tempo, lo stesso Michelangelo e altri ancora.

È possibile infatti notare che i lunettoni laterali, avendo minore prospettiva, sono quelli che più evidentemente presentano la collaborazione della bottega e degli aiuti più scadenti, mentre il lunettone di fondo si distingue al confronto per la sua notevole qualità.

Tuttavia la cooperazione degli aiutanti va via via armonizzandosi in una omogeneità che, abbassando lo sguardo verso il basso, va migliorando per la più vigile presenza del maestro. Tra i collaboratori si riconosce inoltre, sebbene costretta e limitata da un ruolo minore, la mano dell’aiutante dalla più dirompente personalità, pur essendo allora un fanciullo di soli quattordici anni, cioè di Michelangelo Buonarroti che, come ci fa sapere il Vasari, fu cacciato dopo breve tempo da Domenico Ghirlandaio per aver corretto alcuni suoi disegni suscitando così, sempre a detta del Vasari, l'invidia del maestro.

Il mondo a cui il Ghirlandaio ama guardare è quello del quotidiano, vale a dire alla vita che si svolge intorno a lui abitualmente, descritto con un tono elegante e signorile degno della famiglia del committente e al contempo rispecchiante il comune ambiente dell'alta borghesia fiorentina, anche per quel che concerne le mode del tempo nell’abbigliamento, nelle decorazioni, nei gesti consueti, negli ambienti ritratti…
Seguendo il gusto dell’epoca, Domenico ritrae i personaggi più in vista e maggiormente conosciuti a Firenze, poiché la borghesia fiorentina amava riconoscere persone note e contemporanee nei personaggi principali della narrazione o anche in figure di secondarie di quelle scene, e più ancora si rallegrava di parteciparvi con la propria effigie.

È questo il caso soprattutto dei personaggi della famiglia del committente, i Tornabuoni appunto, che sono ritratti con un’attenzione particolare, come per mettere in risalto la loro posizione d’eccezione. Tanto è così, che a Giovanni Tornabuoni e alla moglie, Francesca di Luca Pitti, furono riservati due appositi riquadri posti in tutta evidenza nella parete centrale.

Ma i ritratti si estendono anche a tante altre persone in vista in quel momento, come ad esempio: lo stesso Domenico, il fratello David Ghirlandaio, il Baldovinetti, maestro di Domenico, e il cognato Mainardi, nonché letterati e filosofi ancor oggi famosi quali: Marsilio Ficino, Cristoforo Landino, Angiolo Poliziano.

Di un ruolo di primo piano è investita naturalmente anche la città di Firenze che, come diceva lo statuto dell'epoca, era considerata « città bellissima che godeva di ricchezze, successi, arti, nobili edifici, pace e salubrità ».

Per quanto riguarda il resto della cappella, a tavola con l'Incoronazione della Madonna, collocata sull'altare nel 1324 e attribuita a Ugolino da Siena o Bernardo Daddi, si trova ora nella Galleria dell'Accademia.

L'altare attuale di marmi pregiati fu disegnato da Enrico Romoli, direttore del restauro del 1860. Le sculture sono di Egisto Rossi, mentre il crocifisso posto sull'altare fu attribuito al Gianbologna e fu donato dall'Accademia della Belle Arti quando fu costruito l'altare.

Il grande ciborio è ricco di tarsie di malachite e lapislazzuli. Il Cristo risorto tra due angeli sul timpano della porticina fu dipinto su bronzo dorato da Giuseppe Fattori.
Sotto l'altare si trova l'urna con il corpo del Beato Giovanni da Salerno, fondatore del convento († 1243 ca.).

Nel paliotto di marmo bianco sono scolpite quattro figure allegoriche: Carità, Fortezza, Prudenza, Religione. Nei pannelli: San Domenico che predica e il Beato Giovanni da Salerno che riceve la chiesa e il convento di Santa Maria Novella dal Cardinal Ugolino.

Il coro ligneo fu composto da Giovanni Gargiolli da Settignano su disegno di G. Vasari, usando le spalliere intarsiate, già disegnate per questa cappella da Baccio d'Agnolo ed eseguite da Bartolomeo Baglioni (fine del XV sec.).
Il grande leggio al centro, detto « badalone », è della fine del XVI

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